mercoledì 9 gennaio 2013

Ritrovato in Toscana il collirio dell’antichità


Il termine 'collirio' viene dal greco 'kollura' che significa 'piccoli panetti rotondi', la stessa forma dei reperti scoperti sui fondali del mare di Baratti, in un relitto dell’epoca romana, dove sono state trovate pastiglie di ossido di zinco usate, appunto, per curare gli occhi.

Non tutti sanno che nella sua Naturalis Historia, Plinio il Vecchio (al secolo Gaio Plinio Secondo), era uno scrittore romano proprio. Con il suo stile descrivere le cose dal vivo, insomma, era un vero e proprio cronista dell'epoca. Morì infatti tra le esalazioni sulfuree dell'eruzione vulcanica del Vesuvio che distrusse Stabia, Ercolano e Pompei, mentre cercava di osservare il fenomeno vulcanico più da vicino. Per questo venne riconosciuto come primo vulcanologo della storia, tanto che in suo onore viene usato il termine di eruzione pliniana per definire una forte eruzione esplosiva, simile appunto a quella del Vesuvio in cui perse la vita.

Tra i tanti scritti ha lasciato anche la Naturalis historia, che conta 37 volumi. Quest'opera è stata il testo di riferimento in materia di conoscenze scientifiche e tecniche per tutto il Rinascimento e anche oltre. Plinio vi ha infatti registrato tutto il sapere della sua epoca su argomenti molto diversi, quali le scienze naturali, l'astronomia, l'antropologia, la psicologia o la metallurgia. descriveva, tra le tante cose, anche come preparare dei medicamenti per la cura degli occhi.

Oggi, dopo secoli, sono state ritrovate le pillole di cui parlava lo scrittore romano.

Enrico Ciabatti, che ha diretto l’esplorazione subacquea che ha portato alla scoperta, ha subito pensato di aver trovato un kit medico vecchio di 2.000 anni: “Le pasticche si trovavano in contenitori di stagno oggi in mostra al museo archeologico di Piombino, accanto c'erano strumenti utili alla medicina: tutto lasciava pensare di essere davanti a una cassetta di pronto soccorso, l'attrezzatura forse di un medico di bordo. Ricordo che nel laboratorio del primo restauro c'era odore di spezie”.

Il collirio dell’antichità

Erika Ribechini, ricercatrice del dipartimento di chimica dell'università di Pisa che ha coordinato le analisi sui reperti, ha spiegato il procedimento per scoprire i principi attivi contenuti nelle pillole: "Grazie a tecniche di analisi come la spettroscopia a raggi X e a infrarossi, la gascromatografia e la spettrometria di massa abbiamo scoperto che le pasticche sono composte all'80% da carbonati di zinco, che probabilmente costituivano il principio attivo, e poi da eccipienti come la resina di pino che, oltre a prevenire l'ossidazione di altri componenti come gli oli, poteva conferire un odore gradevole al preparato".

 "Lo zinco -  continua la Ribecchini - ha notevoli proprietà antibatteriche, batteriostatiche e probabilmente anche antivirali ed è ancora oggi usato in dermatologia, nelle creme contro l'arrossamento della pelle e in oftalmologia. E’ quindi probabile che le pasticche venissero usate per applicazioni esterne sugli occhi.
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