Per esempio Livorno (uscito su Sette un paio di venerdì fa) di Luca Bottura
Avete mai conosciuto un livornese simpatico? No, dico sul serio. Uno che incontri e subito pensi: che persona garbata, piacevole, lieve. Pensateci ancora. No? Infatti.
Ok, seconda domanda: avete mai cambiato idea su un livornese? Cioè: dopo aver pensato, d’acchito, ammazza che str… aordinario esempio di spocchia, vi è poi successo di coglierne chiaroscuri, intelligenza comica, unicità?
Ecco. Io, per esempio, mi immagino così Paolo Virzì. [ continua in fondo ...]
Gentile Luca Bottura, questa mia riflessione nasce dopo aver letto il suo articolo ritwittato da Robertina alias @robiotta. Scrivo così, ex abrupto, non per voler difendere Virzì, Rondelli o chicchessia ma come quasi quarantenne livornese ormai "esiliato" nel pisano Lajatico.
Non riesco proprio a capire se lei sia un burlone scherzoso o scriva veramente quello che pensa. L'astratto lo concepisco solo nell'arte, odio le generalizzazioni e i pensieri deduttivi, adoro i pensatori e filosofi dell'individualismo metodologico.
Forse è bene che mi presenti: Maledettoscano in versione fumatore che ama talmente tanto il sigaro toscano, da maledirlo perché so perfettamente quanto non faccia bene fumare. Maledettoscano in omaggio a Curzio Malaparte, uno degli scrittori a mio avviso più incisivi del secolo passato, che in Maledetti Toscani ricorda, tra le tante, che i livornesi all'inferno ci vanno a orinare.
Insomma è come se io parlassi dei bolognesi e dicessi che di simpatici, altruisti, piacevoli non ne esistono.
Diciamo pure che nell'incipit del suo articolo non è che sia partito proprio con piede giusto. Lei immagina, e a mio avviso, con così tanta fantasia da farla volare lontano dalla verità. Rimedia, per carità, a torto, nel secondo paragrafo. Sì a torto perché se proprio vuole saperlo, e lo dice un livornese, tesi e antitesi sono esattamente l'opposto di come le ha messe lei.
Il livornese, d'impatto, è generoso, altruista e simpatico, di una toscanità mai pesante, al contrario leggera, seppur greve in alcune allocuzioni. Poi quando veramente lo si conosce si capisce quanto sia spocchioso, elitario, saccente e intelligente, questo sì, ma di un'intelligenza rivolta al proprio tornaconto.
Potrei citarle Modigliani, Coccioli, Taddei, gli stessi Virzì e Rondelli.
Insomma, per farla breve, il livornese ama Livorno e deve tornarci il prima possibile, sopporta a malincuore i suoi concittadini, pensando di essere superiore al 90% di loro e quindi costretto ad emigrare perché Livorno non offre nulla che possa essere alla sua altezza.
Posso dirle di aver assistito, seppur pischello, al back stage di “Ho picchiato la testa”, quando Rondelli volle registrare il video nei locali dei laboratori Blu Cammello, laboratori primi in Italia, per aver concepito una struttura dove il malato di mente andasse a lavorare, regolarmente retribuito, per poi iniziare un percorso psicoterapeutico che lo portasse alla assoluta indipendenza economica e che servisse come cura alla singola malattia (Basaglia docet).
Le perdono solo una cosa (vede quanto sono spocchioso nello scrivere di getto "le perdono"?): gli Housemartins, per il resto potrei scrivere per un'ora abbondante sul suo articolo e sulle sue riflessioni, ma ho anche altro da fare (ancora più spocchioso di prima, che Lajatico mi salvi).
Se lei pensa ad un giro di chitarra, a un Bobo Rondelli rintanato non ha proprio capito chi siano Rondelli, Virzì, Ballantini in versione pittore, Carlo Coccioli e Ezio Taddei. Tralascio Modigliani perché
sicuramente saprà che mezza della sua vita l'ha vissuta a Livorno, sua
città natale, fosse solo per le "Teste false e la burla".
Ma se le dico Piero Ciampi, cosa mi risponde? Idem per i suddetti. Non vale google, you tube eccetera. Sicuramente conoscerà il "Premio Ciampi", forse le sarà sfuggito che esiste una piccola scuola di cantautori anche a Livorno che ha come padre putativo il Piero di "andare, camminare, lavorare".
Idem per Virzì. E' chiaro che se sei all'inizio della carriera, se vuoi fare cinema, se hai una profonda cultura su cosa sia Livorno e i suoi cittadini, ma soprattutto se sei una persona di cultura tout court (la rimando a questo racconto/intervista su Ezio Taddei scritto da Virzì stesso), in una sorta di neorealismo, dalle case popolari di fronte agli Spedali Riuniti devi partire. E la parolaccia o il rutto ancora più potente di quello di fantozziana memoria tanto che se su google cerca... troverà chi domanda al popolo della rete da "che cosa nasce la leggenda del rutto wyoming?" sono tali perché fanno parte del vissuto.
Ho capito da subito, mi creda, il suo sforzo nell'elogiare Livorno e i suoi bizzarri abitanti, e la invito a stare un po' di tempo a Livorno, per assaporarla in tutte le sue sfaccettature, più brutte che belle, secondo me, ma per chi vi è nato uniche nel loro genere.
Anche perché la nebbia la lasciamo al Tombolo (ex zona paludosa tra Livorno e Pisa), visto che il Fosso Reale a memoria storica non penso abbia mai emesso nessuna qualsivoglia forma di nebbia, al massimo una leggerissima foschia, se proprio vogliamo cercare il pelo nell'uovo.
E poi il porto, le consiglio di entrare dal ponte dei francesi e di sedersi su una bitta davanti ai rimorchiatori, mangiandosi un panino dell'Orco e stando attento a non far cadere il tovagliolo a terra. Perché quello potrebbe essere l'unica nota di sporcizia che potrebbe trovarci.
[...] Che nei suoi film inserisce quasi sempre un abbrivio sgradevole e poi s’incarica di cesellare il racconto della vita con l’ironia, la banalità del male, la straordinarietà dell’ovvio e – parolaccia – di un qualche sentimento. Forse per questo è l’unico regista italiano che ha trovato la terza via, quel sentiero stretto che sta a metà tra i christiandesica (o isolitidioti, stessa roba ripittata di modernità) e il cinemadimpegnocivile che, diciamoci la verità, bello era pure bello, però aveva più didascalie che un abbonamento annuo al Corriere. Già negli anni ’70. Figurarsi ora. Infatti, per dire, Il Divo sta a Gomorra come Natural Born Killers sta a Pulp Fiction: la morale devo percepirla, ammesso ci sia, mica farmela spiegare. Sennò, due maroni. Virzì è tanto livornese. E l’ha trasformata in paradigma. Respingente ma affascinante, a volerla inseguire, ad avere pazienza. La stessa pazienza con cui ho aspettato Bobo Rondelli per quattro lustri tondi. Dai tempi dell’Ottavo Padiglione, di “Ho picchiato la testa”, con quel giro costruito mettendo gli Housemartins in una fotocopiatrice, che gli perdonavi già al secondo ascolto. L’ho aspettato anche se nel frattempo mica era scomparso. Ma s’era rintanato nella cuccia rivestita di carta vetrata che è, appunto, Livorno. Producendo album di culto per chi nasceva già imparato, lo idolatrava (e lo idolatra), lo inseguiva ai piedi di ogni palco, e ti diceva che dovevi ascoltarlo, oh se dovevi ascoltarlo. Poi te ne dimenticavi e andavi a vedere i Cake. Siccome lui, Bobo, lo sa, il titolo del nuovo album è una sorta di nemesi: “A famous local singer”. Poi la vita a volte è cattiva, e le atmosfere un filo adriatiche dell’intero lavoro arrivano proprio nel momento in cui Elio ha (giustamente) sentenziato che la musica balcanica ci ha rotto i coglioni. Però, un attimo. Le dimensioni dell’arrangiamento non sono fondamentali, l’importante è come le usi. Quindi, detto stretto, ‘sto disco è un bel disco. Fior da fiore, segnalo la cover di Ventiquattromila baci, sperando che Celentano non li citi in giudizio, Cuba lacrime, sorta di giga sugli esodati, che sarebbe anche più efficace senza il ritornello alla Armando De Razza, e Il cielo è di tutti, una poesia di Gianni Rodari messa in musica con grazia e talento. Se ascoltando gli Eagles ti senti su un’autostrada della West Coast all’ora del tramonto, certe atmosfere di Rondelli ti catapultano sul Fosso Reale a novembre, con un po’ di vapore che si alza dall’acqua. Incupirti, sghignazzare, commuoverti: a quel punto è affar tuo. Qualora poi Fabio Fazio, nel caso rifacesse San Remo, lo volesse sul palco dell’Ariston, tra qualche mese, avremmo un famous local singer in meno, un almost popular crazy guy in più, e il definitivo riconoscimento che la capitale d’Italia e degli italiani molto probabilmente è Livorno. All’incirca, più o meno, su una banchina sporca del porto.
Avete mai conosciuto un livornese simpatico? No, dico sul serio. Uno che incontri e subito pensi: che persona garbata, piacevole, lieve. Pensateci ancora. No? Infatti.
Ok, seconda domanda: avete mai cambiato idea su un livornese? Cioè: dopo aver pensato, d’acchito, ammazza che str… aordinario esempio di spocchia, vi è poi successo di coglierne chiaroscuri, intelligenza comica, unicità?
Ecco. Io, per esempio, mi immagino così Paolo Virzì. [ continua in fondo ...]
Gentile Luca Bottura, questa mia riflessione nasce dopo aver letto il suo articolo ritwittato da Robertina alias @robiotta. Scrivo così, ex abrupto, non per voler difendere Virzì, Rondelli o chicchessia ma come quasi quarantenne livornese ormai "esiliato" nel pisano Lajatico.
Non riesco proprio a capire se lei sia un burlone scherzoso o scriva veramente quello che pensa. L'astratto lo concepisco solo nell'arte, odio le generalizzazioni e i pensieri deduttivi, adoro i pensatori e filosofi dell'individualismo metodologico.
Forse è bene che mi presenti: Maledettoscano in versione fumatore che ama talmente tanto il sigaro toscano, da maledirlo perché so perfettamente quanto non faccia bene fumare. Maledettoscano in omaggio a Curzio Malaparte, uno degli scrittori a mio avviso più incisivi del secolo passato, che in Maledetti Toscani ricorda, tra le tante, che i livornesi all'inferno ci vanno a orinare.
Insomma è come se io parlassi dei bolognesi e dicessi che di simpatici, altruisti, piacevoli non ne esistono.
Diciamo pure che nell'incipit del suo articolo non è che sia partito proprio con piede giusto. Lei immagina, e a mio avviso, con così tanta fantasia da farla volare lontano dalla verità. Rimedia, per carità, a torto, nel secondo paragrafo. Sì a torto perché se proprio vuole saperlo, e lo dice un livornese, tesi e antitesi sono esattamente l'opposto di come le ha messe lei.
Il livornese, d'impatto, è generoso, altruista e simpatico, di una toscanità mai pesante, al contrario leggera, seppur greve in alcune allocuzioni. Poi quando veramente lo si conosce si capisce quanto sia spocchioso, elitario, saccente e intelligente, questo sì, ma di un'intelligenza rivolta al proprio tornaconto.
Potrei citarle Modigliani, Coccioli, Taddei, gli stessi Virzì e Rondelli.
Insomma, per farla breve, il livornese ama Livorno e deve tornarci il prima possibile, sopporta a malincuore i suoi concittadini, pensando di essere superiore al 90% di loro e quindi costretto ad emigrare perché Livorno non offre nulla che possa essere alla sua altezza.
Posso dirle di aver assistito, seppur pischello, al back stage di “Ho picchiato la testa”, quando Rondelli volle registrare il video nei locali dei laboratori Blu Cammello, laboratori primi in Italia, per aver concepito una struttura dove il malato di mente andasse a lavorare, regolarmente retribuito, per poi iniziare un percorso psicoterapeutico che lo portasse alla assoluta indipendenza economica e che servisse come cura alla singola malattia (Basaglia docet).
Le perdono solo una cosa (vede quanto sono spocchioso nello scrivere di getto "le perdono"?): gli Housemartins, per il resto potrei scrivere per un'ora abbondante sul suo articolo e sulle sue riflessioni, ma ho anche altro da fare (ancora più spocchioso di prima, che Lajatico mi salvi).
Se lei pensa ad un giro di chitarra, a un Bobo Rondelli rintanato non ha proprio capito chi siano Rondelli, Virzì, Ballantini in versione pittore, Carlo Coccioli e Ezio Taddei. Tralascio Modigliani perché
Ezio Taddei, "C'è posta per voi, mr. Brown" |
Ma se le dico Piero Ciampi, cosa mi risponde? Idem per i suddetti. Non vale google, you tube eccetera. Sicuramente conoscerà il "Premio Ciampi", forse le sarà sfuggito che esiste una piccola scuola di cantautori anche a Livorno che ha come padre putativo il Piero di "andare, camminare, lavorare".
Idem per Virzì. E' chiaro che se sei all'inizio della carriera, se vuoi fare cinema, se hai una profonda cultura su cosa sia Livorno e i suoi cittadini, ma soprattutto se sei una persona di cultura tout court (la rimando a questo racconto/intervista su Ezio Taddei scritto da Virzì stesso), in una sorta di neorealismo, dalle case popolari di fronte agli Spedali Riuniti devi partire. E la parolaccia o il rutto ancora più potente di quello di fantozziana memoria tanto che se su google cerca... troverà chi domanda al popolo della rete da "che cosa nasce la leggenda del rutto wyoming?" sono tali perché fanno parte del vissuto.
Ho capito da subito, mi creda, il suo sforzo nell'elogiare Livorno e i suoi bizzarri abitanti, e la invito a stare un po' di tempo a Livorno, per assaporarla in tutte le sue sfaccettature, più brutte che belle, secondo me, ma per chi vi è nato uniche nel loro genere.
Anche perché la nebbia la lasciamo al Tombolo (ex zona paludosa tra Livorno e Pisa), visto che il Fosso Reale a memoria storica non penso abbia mai emesso nessuna qualsivoglia forma di nebbia, al massimo una leggerissima foschia, se proprio vogliamo cercare il pelo nell'uovo.
E poi il porto, le consiglio di entrare dal ponte dei francesi e di sedersi su una bitta davanti ai rimorchiatori, mangiandosi un panino dell'Orco e stando attento a non far cadere il tovagliolo a terra. Perché quello potrebbe essere l'unica nota di sporcizia che potrebbe trovarci.
[...] Che nei suoi film inserisce quasi sempre un abbrivio sgradevole e poi s’incarica di cesellare il racconto della vita con l’ironia, la banalità del male, la straordinarietà dell’ovvio e – parolaccia – di un qualche sentimento. Forse per questo è l’unico regista italiano che ha trovato la terza via, quel sentiero stretto che sta a metà tra i christiandesica (o isolitidioti, stessa roba ripittata di modernità) e il cinemadimpegnocivile che, diciamoci la verità, bello era pure bello, però aveva più didascalie che un abbonamento annuo al Corriere. Già negli anni ’70. Figurarsi ora. Infatti, per dire, Il Divo sta a Gomorra come Natural Born Killers sta a Pulp Fiction: la morale devo percepirla, ammesso ci sia, mica farmela spiegare. Sennò, due maroni. Virzì è tanto livornese. E l’ha trasformata in paradigma. Respingente ma affascinante, a volerla inseguire, ad avere pazienza. La stessa pazienza con cui ho aspettato Bobo Rondelli per quattro lustri tondi. Dai tempi dell’Ottavo Padiglione, di “Ho picchiato la testa”, con quel giro costruito mettendo gli Housemartins in una fotocopiatrice, che gli perdonavi già al secondo ascolto. L’ho aspettato anche se nel frattempo mica era scomparso. Ma s’era rintanato nella cuccia rivestita di carta vetrata che è, appunto, Livorno. Producendo album di culto per chi nasceva già imparato, lo idolatrava (e lo idolatra), lo inseguiva ai piedi di ogni palco, e ti diceva che dovevi ascoltarlo, oh se dovevi ascoltarlo. Poi te ne dimenticavi e andavi a vedere i Cake. Siccome lui, Bobo, lo sa, il titolo del nuovo album è una sorta di nemesi: “A famous local singer”. Poi la vita a volte è cattiva, e le atmosfere un filo adriatiche dell’intero lavoro arrivano proprio nel momento in cui Elio ha (giustamente) sentenziato che la musica balcanica ci ha rotto i coglioni. Però, un attimo. Le dimensioni dell’arrangiamento non sono fondamentali, l’importante è come le usi. Quindi, detto stretto, ‘sto disco è un bel disco. Fior da fiore, segnalo la cover di Ventiquattromila baci, sperando che Celentano non li citi in giudizio, Cuba lacrime, sorta di giga sugli esodati, che sarebbe anche più efficace senza il ritornello alla Armando De Razza, e Il cielo è di tutti, una poesia di Gianni Rodari messa in musica con grazia e talento. Se ascoltando gli Eagles ti senti su un’autostrada della West Coast all’ora del tramonto, certe atmosfere di Rondelli ti catapultano sul Fosso Reale a novembre, con un po’ di vapore che si alza dall’acqua. Incupirti, sghignazzare, commuoverti: a quel punto è affar tuo. Qualora poi Fabio Fazio, nel caso rifacesse San Remo, lo volesse sul palco dell’Ariston, tra qualche mese, avremmo un famous local singer in meno, un almost popular crazy guy in più, e il definitivo riconoscimento che la capitale d’Italia e degli italiani molto probabilmente è Livorno. All’incirca, più o meno, su una banchina sporca del porto.
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